Marzo 15

La crisi della guerra in Ucraina e il modello interculturale asistematico della scuola italiana

interculturaLa crisi della guerra in Ucraina e il modello interculturale asistematico della scuola italiana
di Domenico Ciccone

Una nuova emergenza che si profila nell’orizzonte della scuola italiana

Non è facile immaginare cosa potrà scrivere la Storia dell’Ucraina, dell’Italia e dei loro rapporti. Eppure l’Ucraina e l’Italia sono legati da una sorta di legame incomprensibile ma concretamente percepito e sfociato nientemeno nell’ immancabile leggenda che vuole “ ’O Sole Mio” come scritta ad Odessa, in una giornata gelida e nebbiosa nel 1898,  da Eduardo di Capua; l’autore giustificò l’ispirazione, piuttosto singolare, nell’ambiente naturale e nel clima di Odessa, molto simile a quello della città partenopea. Da questa giustificazione improbabile, l’alone di leggenda.

E come dimenticare, invece, come concreta reazione alla tragedia di Chernobyl, l’arrivo in Italia di una miriade di piccoli ucraini, affetti da varie malattie derivanti dall’esposizione alle radiazioni? L’invasione pacifica giunse nelle famiglie italiane di ogni luogo, provocando una gioiosa esplosione di Intercultura che le quotidianità degli italiani affrontarono in maniera ineccepibile.

Emergenza fulminea dalla durata imprevedibile

La scuola si trova oggi a dover gestire qualcosa di ugualmente drammatico ma particolarmente diverso dal punto di vista sociale ed economico. In pochi giorni qualche milione di persone ha attraversato la frontiera ucraina verso l’Europa o i suoi Paesi confinanti. La scelta della destinazione verso “luoghi sicuri” non si riferisce soltanto alla sicurezza fisica ma anche alla certezza, che i profughi hanno, di approdare in stati nei quali il rispetto verso la loro cultura di provenienza è garantito dalla legge e, come nel caso dell’Italia, anche dalla tradizione consolidata di rapporti maturi e stabili tra le popolazioni.

La scuola italiana in un contesto complesso ma non del tutto nuovo.

Andando oltre le immancabili note ministeriali, che hanno inoltrato alle scuole le indicazioni per la prima accoglienza degli scolari e studenti ucraini, occorre fare una precisazione che riguarda il modello scolastico italiano di fronte all’invasione pacifica e dai mille colori che, negli ultimi anni, la nostra scuola ha fronteggiato nelle proprie aule scolastiche. Un decimo dei nostri studenti è di origine straniera, di prima o di seconda generazione, e l’approccio che il nostro sistema scolastico ha scelto per la loro inclusione è di sicura matrice interculturale, superando le ristrette visioni multiculturali, semplicemente attestate sul modello sociale che risulta spontaneamente dall’insieme delle culture che si trovano a convivere. La sfida dell’Intercultura è quella di riuscire, non solo tentare, di far interagire tra loro le diverse culture che si trovano insieme in un determinato territorio.

L’educazione interculturale non ha un compito facile né di breve periodo.

L’origine dell’educazione interculturale può essere rintracciata nello sviluppo dei fenomeni migratori ma occorre evidenziare che essa ha da tempo abbandonato il terreno dell’educazione speciale, rivolta ad un gruppo sociale specifico, per diventare un approccio pedagogico innovativo teso verso una nuova visione del curricolo, in generale.

Gli studi più recenti sottolineano la necessità di porre in essere il tentativo di compiere un indispensabile passaggio dalla pedagogia alla didattica interculturale delle discipline e dei saperi.  Ciò  può  essere realizzato  attraverso  la revisione,  la rivisitazione e la rifondazione del modello formativo della scuola che miri alla formazione di un cittadino del mondo, che vive e agisce in un contesto interdipendente[1].

Seguendo il modello asistematico[2] della scuola italiana, consolidato negli anni in forza ad un approccio che pur non essendo “sistema” ha ricercato e trovato le migliori soluzioni per promuovere l’educazione Interculturale, occorre ancora una volta muoversi in situazioni a macchia di leopardo, non per questo prive di efficacia, concretezza e capacità di raggiungere obiettivi di inclusione sociale e culturale.  Non ci sono regole precise e fisse da seguire per   realizzare nel migliore modo possibile l’accoglienza e la scolarizzazione degli alunni e degli studenti ucraini ma sarebbe sicuramente un errore organizzare in Italia dei moduli di prosecuzione degli studi interrotti dalla guerra in Ucraina attuando un mirroring delle classi del Paese rigorosamente impostato su lingua, curricoli e metodologie di diretta importazione, professoresse comprese[3].

Sembra una scelta di buonsenso ma è l’antitesi dell’accoglienza e dell’inclusione in un Paese “altro” per i bambini profughi a causa della guerra.

Il problema linguistico e quello culturale

Sicuramente i sostenitori dell’ipotesi delle “classi a specchio” partono dal principio secondo il quale in questa fase dell’anno scolastico l’ingresso di bambini stranieri completamente digiuni di lingua italiana nuocerebbe a loro ma anche ai coetanei, che stanno tranquillamente concludendo il “programma” dell’anno.

Tuttavia, come abbiamo già sostenuto, le normative della scuola italiana impongono l’accoglienza nelle classi regolari degli scolari e degli studenti auspicando, nel contempo, tutte le possibili azioni di supporto ai processi interculturali di inclusione scolastica.

Azioni a tutto campo secondo un approccio inter – istituzionale

Il modello inter-istituzionale è quello più efficace per fronteggiare questa emergenza. Esso prevede l’interazione tra scuole, associazioni, enti locali, volontariato, privati e istituzioni.

La mediazione linguistica e culturale, ad esempio, richiede delle figure capaci di fungere da interfaccia  comunicativa tra gli stranieri e le istituzioni che essi devono frequentare, scuola compresa. Per tale delicata incombenza possono essere utilizzate anche figure non specializzate ma capaci di assicurare le prime indispensabili acquisizioni di carattere lessicale e linguistico, utili ad alleviare lo shock comunicativo delle prime settimane. Inoltre, il supporto degli enti locali, dell’associazionismo e del volontariato possono essere strategici per dare il senso di una comunità accogliente, che vada oltre le aule scolastiche e investa anche il tempo del fuori scuola, che è probabilmente il più difficile da gestire per le famiglie dei profughi, smembrate dalla guerra e costrette a separarsi chissà per quanto tempo.

Strumenti metodologici ed opportunità formative

L’accoglienza di scolari e studenti in corso di anno rappresenta una poderosa opportunità formativa per i coetanei italiani che frequentano le stesse classi. Senza contare le numerose opportunità di innovazione metodologica che i docenti potranno apportare al lavoro quotidiano con un beneficio incalcolabile per tutta la classe. Lo stimolo allo sviluppo delle competenze non cognitive o soft skills, apportato dai processi di socializzazione, che devono ristrutturarsi in un gruppo di bambini o adolescenti che si trovino ad affrontare uno o più nuovi ingressi in classe, sollecita diverse abilità, sostiene e richiede conoscenze spesso nuove e qualifica competenze in contesti e situazioni nuove. I docenti possono orientare questi processi rafforzando le metodologie innovative, quelle laboratoriali che non richiedono necessariamente l’uso di linguaggi verbali, ma anche la scoperta o la riscoperta di strumenti e sussidi troppe volte non considerati. Un esempio per tutti sono i “Silent book”, libri senza testo che rappresentano strumenti di lettura con una possente carica aggregativa e di riflessione interculturale. L’università Roma Tre ha svolto numerose ricerche su queste modalità dinamiche di inclusione, sostenute a strumenti metodologici innovativi e rivolte alla piena visione interculturale.

Opportunità anche per il sistema scolastico proiettato verso il futuro

Questa guerra è una brutta avventura che potrà essere ricordata anche come accompagnata da qualche esperienza positiva, se la scuola italiana, oltre i protocolli di accoglienza ed alle indispensabili collaborazioni, saprà fare tesoro della tradizione che l’educazione interculturale ha ormai stabilmente costruito. E questo senza contare il messaggio implicito che la pandemia e la guerra stanno portando con sé in un mondo apparentemente incomprensibile ma interpretato con nitida analisi da E. Morin che, nell’intervista per il suo centenario a  M. Ceruti[4], ha affermato di “ Non credere nella perennità del presente”.

Abbiamo passato buona parte del secolo scorso a rimuginare sulla vulnerabilità del genere umano e, ciò nonostante, non riusciamo a vivere il cambiamento come prodotto inevitabile della Storia. L’idea di considerarlo forzosamente un risultato governabile e gestibile ci porta a fallire.

La scuola di fronte all’ennesima crisi che oggi è quella della guerra in Ucraina, prenda atto di questa ennesima e, purtroppo, non ultima sfida. E agisca, come ha sempre ben fatto!

[1]  M. Fiorucci (a cura di) (2011) Una scuola per tutti – Idee e proposte per una didattica interculturale

delle discipline. F. Angeli

[2] L. Stillo “ Per un’idea di Intercultura” Il modello asistematico della scuola italiana – Roma Tre  Press 2020

[3] In questo momento gli ucraini di sesso maschile dai 18 ai 65 anni di età non possono lasciare il Paese.

[4]  Intervista a E. Morin del 2 luglio 2021 di Mauro Ceruti


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Posted 15 Marzo 2022 by admin in category articoli