Gennaio 20

Nascono gli Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia: diamo ancor più valore ai primi 1000 giorni dei bambini

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di Paola Bortoletto

La Commissione nazionale per il Sistema integrato di educazione e di istruzione ha approvato gli Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia, presentandoli ufficialmente a tutti gl’interessati nella seduta in streaming del 6 dicembre 2021, proprio nel giorno in cui ricorrevano i cinquant’anni dalla Legge 1044 che istituì gli asili nido con la supervisione dello Stato (Legge 1044/1971).

Hanno poi preso il via una serie di audizioni con associazioni professionali e di genitori, sindacati, comuni, regioni per accogliere integrazioni, riserve, consensi ed elementi utili per rendere il documento ancor più condiviso, oltre all’avvio di una consultazione sul testo rivolta a singoli o gruppi che si concluderà il 24 gennaio prossimo, sulla falsariga di quanto avvenuto con le “Linee pedagogiche per il sistema integrato zero-sei”, presentate il 31 marzo scorso e adottate con decreto ministeriale il 22 novembre 2021.

Si tratta di un documento ricco di senso e di significato, a volte ridondante, che dà voce alla cultura educativa sviluppatasi negli ultimi cinquant’anni nei servizi dell’infanzia vista “con gli occhi dei bambini”, solidamente ancorato al D. Lgs. 65/2017, alle Linee pedagogiche per lo 0-6 ed alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione del 2012 aggiornate con i Nuovi scenari del 2018, in un dialogo costante fra i documenti che riguardano tutto il segmento 0-6 e di continuità con gli altri ordini di scuola.

La sua struttura è reticolare, contrassegnata dalla coerenza di parole chiave come diritti e ricerca della qualità. Il centro del documento, che si snoda su sei capitoli, è il bambino con il suo protagonismo, i suoi diritti e la sua originalità, passando per una doverosa presentazione diacronica e sincronica dei servizi educativi per l’infanzia (nidi, micronidi, sezioni primavera, spazi gioco, centri per bambini e famiglie, servizi educativi in contesto domiciliare); l’accento sull’alleanza con le famiglie da accogliere e accompagnare; la valorizzazione della professionalità educativa nelle sue diverse dimensioni; l’inciso su tempi e spazi, categorie da attrezzare e rendere sostenibili per un’utenza così unica e in continua e diversificata evoluzione. Quanto avrebbero da imparare i gradi successivi da queste multiformi personalizzazioni! Ultima, ma non ultima la conclusione assai aperta su finalità, curricolo e progettazione, ponte per la discussione con le scuole che seguono e per la realizzazione di attività formative congiunte, da studiare con cura in forme agite e verificate. Porre al centro della progettazione l’orientamento alla relazione educativa, l’ascolto della voce dei bambini, il gesto educativo di cura nel quotidiano, rappresenta il filo conduttore che assicura la connessione tra tutte le esperienze del bambino, da quelle dedicate ai bisogni funzionali del corpo a quelle di libero movimento, dalle attività di gioco a quelle di manipolazione, da quelle di esplorazione e scoperta alle forme più propriamente espressive. Andrà sostenuto un lessico pedagogico condiviso: parole come cura, routine, contesto, benessere, corpo dovranno intrecciarsi con quelle di sviluppo, competenza, apprendimento, gioco, linguaggi, ma “curricolo non significa un’anticipazione dell’insegnamento dei saperi, bensì la capacità degli adulti di riconoscere un significato più ampio alle esperienze percettive, motorie, comunicative, esplorative ed espressive dei bambini, intravvedendo e suggerendo la possibilità di apprendimenti, strutturazioni, rappresentazioni, che progressivamente aprono a processi di simbolizzazione” (come ben specificato a pag. 48).

Nel documento emerge ripetutamente uno sguardo sul bambino come persona, pronta a vivere e costruire legami che permettono di crescere, di esprimere e comunicare emozioni, capace di apprezzare la realtà incontrata, di ricercare e scoprire cose nuove nello spazio e nel tempo vissuti, ma anche di esplorare il conosciuto, fortemente “impregnata” della cultura locale della famiglia di provenienza, tutte caratteristiche che nascono dal riconoscimento di una diversità originaria,

ricchezza e non vincolo, in un contesto relazionale positivo in cui organizzazione, pratiche e interventi educativi devono adeguarsi a questa diversità antropologica, consapevoli che i percorsi evolutivi e di apprendimento nei bambini sotto i sei anni hanno un carattere altamente personale.

Dalle parole ai fatti: sarà necessario garantire una diffusa qualità dei servizi educativi per la fascia zero-tre anni in cui si snodano i primi 1000 giorni di vita di un/a bambino/a e una loro generalizzazione in termini di fruizione sull’intero territorio nazionale andando a colmare disparità notevoli, nella doverosa espansione dei servizi in alcune zone del nostro Paese. La qualità dell’educazione e dell’istruzione nei primi anni di vita è riconosciuta come importantissima ai fini anche dell’evitamento della povertà educativa e, in prospettiva, anche della dispersione scolastica.

La missione 4 del PNRR evidenzia, infatti che si deve continuare ad investire in infrastrutture e servizi e attraverso le risorse europee, una parte delle quali è stata già stanziata, si deve raggiungere per lo   0 – 3 l’obiettivo europeo del 33% di accessibilità, dato il grave ritardo in cui versa il nostro Paese: il nido e gli altri servizi educativi in Italia rispondono a circa il 23% della fascia di età (0-3 anni), con pilotaggio legislativo regionale e gestione affidata ai comuni e a privati convenzionati e/o autorizzati (50% circa per i due comparti), a differenza di una scuola dell’infanzia che risponde a circa il 95% della fascia di età (3-6 anni), con pilotaggio legislativo statale e gestione affidata allo Stato (60%), ai Comuni (10%), al privato paritario (30%).

Pur nel rispetto delle scelte delle famiglie, investire nello “0-3” e, più in generale nello “zerosei” significa dare fiducia ad un Paese, in affanno per la denatalità, che dovrebbe far conciliare lavoro e famiglia, ma anche apprezzare l’intersoggettività che nidi prima e scuole dell’infanzia poi dovrebbero offrire al meglio, nella ricerca di una corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia. Passare da una domanda individuale ad un servizio, ad un diritto esigibile potrebbe rappresentare un obiettivo da perseguire.

Fra le molte evidenze va, ancora sicuramente rilevato il giusto valore attribuito al nido, non più associato al termine asilo, quale primo segmento di educazione e istruzione, come anche la visione articolata dell’organizzazione quotidiana, maggiormente flessibile e progettuale e l’idea di grande interesse di una governance integrata.

Nell’audizione della Commissione con il Fonadds, il Forum delle associazioni professionali della scuola di cui fa parte anche ANDIS, si è riaffermato che “lo sforzo che dovrebbe assumere lo Stato, in collaborazione con le sue articolazioni locali adeguatamente istruite, è quello di indicare gli obiettivi generali e gli standard di qualità chiari e puntuali: partendo dalla preoccupazione di non lasciare troppo spazio all’approssimazione e allo spontaneismo, è necessario evitare il rischio di definire un modello attuativo troppo rigido e uniforme.

Secondo una logica sussidiaria, lo Stato, e le sue articolazioni locali, devono assumersi, chiaramente e in modo determinato, il compito di verificare il rispetto di questi obiettivi o standard di qualità, che possono e devono tradursi in diverse forme a seconda delle diverse realtà ed esigenze educative in un rapporto di dialogo fecondo tra enti gestori, educatori e genitori”.

La realizzazione di patti educativi di comunità come strumenti di un’amministrazione condivisa può rappresentare un forte e convinto investimento (culturale, pedagogico, didattico, economico, politico) per una partecipazione in una comunità educante che partendo doverosamente dalle famiglie vada oltre i confini dei servizi educativi e della scuola, per coinvolgere EE.LL. e organismi del territorio in una presa in carico del bambino, della sua famiglia, del  contesto in cui quel bambino e quella famiglia vivono. Se vuole effettivamente essere un investimento “di valore”, nel senso più ampio e qualificante del termine, occorre allora studiare forme e modi perché ogni soggetto coinvolto possa costruire attraverso una rete di responsabilità il percorso di crescita dei bambini e delle bambine. Queste interazioni e le relazioni fiduciarie che dovrebbero scaturirne formano quello che viene chiamato da Coleman il Capitale sociale della comunità.

Certo bisognerà coltivare il dialogo con le scuole dell’infanzia, perché fino ad ora è avvenuto in modo occasionale e non strutturato, ed in questo senso le “sezioni primavera”, ponte fra lo 0-3 ed il 3-6 potrebbero diventare laboratorio di idee, azioni, incontri, confronti nel rispetto del bambino e delle sue potenzialità, nel continuo interscambio con le famiglie, nella salutare “promiscuità” formativa di educatori/ci e insegnanti.

Un’altra possibilità di interazione potrebbe essere rappresentata dai poli per l’infanzia, ben descritti in linea teorica nelle Linee pedagogiche per lo 0-6, realizzabili secondo i bisogni dei territori, vere fucine per contesti differenti, spazi ragionati a livello pedagogico e culturale, ma anche organizzativo e didattico, professionale e sociale, nuovi e più forti punti luce, per usare la metafora del compianto G. Cerini, per il pieno riconoscimento di quest’età così essenziale per la crescita armoniosa dei bambini.

  • Per leggere il Documento:

<https://www.istruzione.it/sistema-integrato-06/allegati/Documento%20base%20Orientamenti%20nazionali%20per%20i%20servizi%20educativi%20per%20l’infanzia.pdf>

  • Per compilare il questionario di consultazione:

<http://camonl.fotonica.com/click.ashx?l=335730&id=71857448>


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Posted 20 Gennaio 2022 by admin in category articoli