Luglio 9

“Magister o Minister!?”(Considerazioni sulla figura del docente nelle Nuove Indicazioni per il Curricolo)

“Magister o Minister!?”

(Considerazioni sulla figura del docente nelle Nuove Indicazioni per il Curricolo)

di Mario Di Maio

Il maestro non può insegnare 
pensieri, ma deve insegnare
a pensare. ( I. Kant)

1.Premessa

Nella Bozza delle Nuove indicazioni, pubblicata dal Ministero dell’Istruzione l’11 giugno del 2025, trasmessa al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, per il prescritto parere, nella Premessa in cui sono indicati i principali aspetti pedagogici e socio-culturali a cui si è ispirata la stesura del Documento programmatico, c’è un paragrafo dedicato alla figura dell’insegnante.” Troppo spesso si dimentica che un insegnante è magis, di più, e che è il volano del desiderio di apprendere di un allievo. Come tale, è un punto di riferimento essenziale del suo percorso di formazione [omissis]. E il ‘modello’ è l’esempio di un maestro, esempio fondamentale affinché il desiderio dell’allievo non resti allo stato di pura tensione psicologica ma si orienti verso degli oggetti definiti che sono le esperienze e i contenuti del curricolo. [omissis].Sempre più gli insegnanti diventano catalizzatori di aspettative affettive e la scuola risolutrice di problemi relazionali delle famiglie.[omissis].Al di là dei cambiamenti sociali in atto nell’universo adulto, restano però sempre uguali i bisogni che bambini e ragazzi rivolgono ai loro adulti di riferimento, genitori e insegnanti: bisogni di sicurezza, di essere amati, di formarsi un’immagine stabile e positiva di sé, di vivere in un ambiente sereno, di imparare con gioia”(1)

Queste considerazioni hanno destato delle perplessità in quanto si ripropone una figura di docente che sembrava ormai abbandonata negli scritti e nelle riflessioni dei più insigni pedagogisti che hanno elaborato, per gli insegnanti, un ruolo di facilitatore per gli apprendimenti degli alunni e non di coloro che trasmettono conoscenze, quindi più che “Magister” un “ mentor” .  Nel parere del CSPI, infatti, il rilievo è sostanziale: occorre “Rimodulare la figura del docente nel paragrafo “Insegnante professionista e Magister”. Nel testo l’autorevolezza del “Magister” appare dovuta a priori, che non deve essere conquistata, che nasce dal suo ruolo. In questo senso emerge la scuola dell’insegnamento, a scapito della scuola dell’apprendimento. Nel testo l’accento sembra essere posto solo su uno dei due poli della relazione docente-discente. Sarebbe opportuno, a tal proposito, dedicare un paragrafo sul ruolo del bambino/ragazzo che costruisce responsabilmente l’apprendimento con la guida del docente che assume il ruolo di regista”.(2) La Commissione, anche se in altre parti delle Indicazioni sembra recuperare un approccio più legato al ruolo dell’alunno, come soggetto dell’apprendimento, in questo paragrafo continua ad indicare un modello di maestro che “trasmette” le sue conoscenze, che ha un’autorità “ a priori”, non un’autorevolezza che si conquista sul campo attraverso capacità empatiche, di sostegno e  di solidarietà per gli alunni per comprendere i loro bisogni e le loro aspettative.

Un ulteriore contributo a rifiutare questo obsoleto modello di docente lo si ritrova nella riflessione operata dal Consiglio nazionale dell’Andis del 25 marzo 2025 sulle Nuove Indicazioni che, anche se faceva riferimento ad una precedente versione delle Indicazioni, successivamente emendate, fa alcune considerazioni sempre significative per il dibattito odierno sulla figura del docente. “Il documento insiste sulle competenze relazionali di chi insegna, senza tuttavia mai definirle come tali. In questo modo si tralascia di riconoscerle come competenze professionali, preferendo invece alludervi in termini di impegno o di esperienze di comprensione e di accoglienza o di esercizio quotidiano della valorizzazione reciproca” (3) Il Documento continua sottolineando come la visione che traspare dalle Nuove Indicazioni: “Appare anacronistica con i docenti come vecchi saggi e non emerge piuttosto la reale complessità della figura del/della docente. Il professionista è indicato solo nel titolo del paragrafo, ma non declinato attraverso le competenze necessarie. Mancano le dimensioni fondamentali della professione: la collegialità, il confronto, le competenze relazionali, sociali, disciplinari, progettuali, di ricerca, la necessità di formazione.” (4) Il Documento dell’Andis continua sottolineando che “Emerge la figura di un maestro che già nei programmi del 1985 appariva superata, un maestro che insegna, trasmette conoscenze e contenuti, poco ricercatore, poco incline a stimolare la ricerca dei ragazzi, la formulazione di ipotesi (soprattutto nelle cosiddette discipline umanistiche), il lavoro di gruppo, l’autoregolazione. Molto maestro, poco professionista dell’educazione”. (5) Un modello vetusto e poco attento alla complessità del fenomeno educativo che si riflette anche nelle considerazioni che vengono fatte per descrivere l’universo infantile. Continua il Documento dell’Andis: “Sembra configurarsi un universo sociale dove i bambini restano ancorati ad una quotidianità immobile e senza tempo, un ombrello sotto il quale l’adulto deve proteggere, difendere e dare sicurezza”.(6)

2.Excursus storico

La Commissione, anche nell’ambito di altre indicazioni nei diversi contesti, più di una volta, ha fatto riferimento ad aspetti e considerazioni che hanno come obiettivo la “rivalutazione” di valori e tradizioni oscurati da “false” dottrine che hanno provocato lo “sfacelo” della Scuola italiana. Questa affermazione, più volte ripetuta dal Ministro e dai suoi più stretti collaboratori, mi ha provocato l’esigenza di ritornare alle fonti del sapere pedagogico su come i più illustri pensatori consideravano il ruolo del “Magister”, con le sue diverse accezioni.

Per Socrate (469–399 a.C.) il maestro, attraverso il “metodo maieutico” non trasmette conoscenze, ma aiuta l’allievo a “partorire” la verità già presente in lui. La figura del maestro è guida al dialogo e alla consapevolezza. Nelle opere di Platone, che descrive le azioni del maestro per portare i suoi interlocutori alla ricerca della verità, il filosofo ateniese non procede mai per frasi apodittiche che lasciano fuori il dialogo ma si confronta con i suoi ascoltatori attraverso delle argomentazioni di tipo logico, affinché arrivino essi stessi all’acquisizione dei concetti e delle conoscenze. (7)

Con Sant’Agostino (354–430) la visione pedagogica diventa funzionale agli obiettivi della diffusione del Cristianesimo, per cui l’unico vero maestro è Dio. Il Santo d’Ippona mette in secondo piano il ruolo del docente che ha il compito non d’imporre dall’esterno l’acquisizione di concetti, quanto di aiutare l’allievo a trovare la verità, che non viene consegnata dall’insegnante il quale, appunto, funge da guida. Il pensiero di Sant’Agostino si concentra nella famosa citazione “Noli foras ire, in te ipsum redi; in interiore homine habitat veritas”.(8)

Superando a volo d’uccello i secoli arriviamo a Michel de Montaigne (1533-1592). Per il filosofo francese importante è la figura del precettore che guidi il proprio allievo alla finalità (ripresa ai giorni nostri da E. Morin) di avere “una testa ben fatta piuttosto che ben piena”. Un buon precettore è l’unico in grado di avviare il proprio allievo alla conoscenza, rendendolo consapevole dei propri punti di forza e di debolezza per poter consolidare i primi e rimediare ai secondi. Montaigne sottolinea che è essenziale che le “strade vengano aperte” una volta dal precettore e una volta dall’allievo in un rapporto simmetrico in cui il maestro non rappresenta l’autorità ma introduce le condizioni per far nascere un rispetto reciproco, ponendo le basi per avviare un apprendimento scambievole, una situazione in cui il precettore e l’allievo   imparino l’uno dall’altro. (9)

Per Comenio (1592–1670), definito il Padre della Pedagogia moderna, il maestro ha un ruolo fondamentale e nobile. Prima di tutto ne definisce i compiti di guida e mediatore. Egli non è solo un trasmettitore di nozioni, ma un facilitatore dell’apprendimento, che deve condurre gli alunni alla conoscenza con dolcezza e metodo. Deve costituire un modello morale che deve essere un esempio di virtù e saggezza, capace di influenzare positivamente gli studenti non solo con le parole, ma anche con il proprio comportamento. Comenio, inoltre, sosteneva il diritto all’istruzione per tutti i bambini, senza distinzioni di sesso o ceto sociale, e riteneva che il maestro dovesse essere preparato a insegnare a ogni tipo di allievo. (10)

Arrivando all’Illuminismo, con Jean-Jacques Rousseau (1712–1778), abbiamo, ancora una volta l’affermazione che il maestro è osservatore e facilitatore, non impone ma lascia il bambino crescere secondo natura, arrivando, forse, ad una concezione un po’ utopica dell’educazione dei fanciulli.

In questo nostro excursus, giungendo alla riflessione fornita dalla Pedagogia scientifica e dai Movimenti dell’Attivismo a cavallo del XIX e XX secolo, non possiamo tralasciare i fondamentali contributi forniti dalla nostra Maria

Montessori (1870–1952). La sua Pedagogia Scientifica non mira semplicemente a dare ai maestri nozioni di psicologia e di pedagogia ma li esorta   ad uniformarsi allo spirito della ricerca attraverso l’osservazione e l’esperimento. Il maestro, secondo la Montessori, deve unire l’atteggiamento dello scienziato ad una modalità comunicativa ricca di umiltà e di rispetto. Ancora una volta si sottolinea che “bisogna imparare dal bambino” non sostituirsi a lui, rappresentando un facilitatore tra l’alunno e l’ambiente, un docente che aiuta il bambino a fare da solo, avendo come obiettivo l’autonomia del discente.

Un ulteriore contributo a delineare in che modo il docente deve porsi nei riguardi dei propri allievi è fornito da John Dewey (1859-1952) il quale pone la sua teoria in opposizione a quella tradizionale che era incentrata sull’insegnamento come semplice trasmissione dell’informazione a senso unico dal docente, in un’attività di “transazione”, un’attività dialettica basata sullo scambio tra insegnante e allievo. (11)

Il pensiero dello strutturalista e costruttivista Jerome Seymour Bruner (1915- 2016) sembra proprio seguire Dewey quando definisce il co-apprendere tra insegnante e allievo fondamentale per il reciproco arricchimento personale. L’insegnante è come un maestro d’orchestra, il che ricorda la definizione di “maestro come guida” di Dewey. Seguendo così il pedagogista americano, ritiene che il maestro possa entrare in un contatto di interazione e scambio reciproco. Il docente diventa così un facilitatore dell’apprendimento dell’alunno. (12)

Continuando nell’ambito della contemporaneità, ricordiamo il pensiero   di Paulo Freire (1921–1997), il quale, sinteticamente, afferma che il maestro è compagno di apprendimento, non depositario della verità.

Critica la “pedagogia bancaria” intesa come l’insieme di obiettivi prescrittivi e di valutazioni poco attente alle esigenze degli alunni, auspicando che il docente e il discente diventino soggetti dello stesso processo per cui non c’è insegnamento senza apprendimento. “I due termini si spiegano a vicenda e i loro soggetti, pur con tutte le differenze che li connotano, non si riducono alla condizione di essere oggetto l’uno dell’altro”.  (13) Freire poneva grande importanza per i saperi degli allievi, in quanto non li considerava una “tabula rasa” da riempire di contenuti ma un bagaglio culturale da tenere in grande considerazione anche per creare un significativo collegamento tra contenuti didattici e la realtà concreta degli alunni. (14)

Edgar Morin (n. 1921) ha riflettuto ampiamente sul ruolo del maestro e sull’educazione in generale. Nelle sue opere, il maestro non è concepito come semplice trasmettitore di conoscenze, ma come guida capace di accompagnare lo studente in un percorso di crescita critica, etica e intellettuale. Per Morin, l’insegnamento deve fondarsi su un’educazione che sviluppi la comprensione, il pensiero complesso e la consapevolezza dell’incertezza del sapere.

In uno dei suoi più importanti saggi, Morin propone una riforma profonda della scuola e del ruolo del docente, auspicando un passaggio dalla “testa ben piena” (che accumula nozioni) alla “testa ben fatta” (capace di organizzare e integrare le conoscenze). In questa prospettiva, il maestro diventa colui che insegna a pensare, a collegare i saperi, a porre domande prima ancora che fornire risposte. (15)

Un altro aspetto centrale del pensiero di Morin è l’importanza dell’educazione alla “comprensione umana”. Egli indica come sia fondamentale per il docente la capacità di educare alla solidarietà, alla tolleranza e al rispetto dell’altro. Il maestro, secondo Morin, deve quindi coltivare non solo la mente ma anche l’animo degli studenti, aiutandoli a diventare cittadini responsabili e consapevoli.

Il maestro è anche colui che accetta e trasmette l’incertezza. Morin rifiuta l’idea di un sapere assoluto e definitivo: la conoscenza è, per lui, sempre parziale, rivedibile, interconnessa. Per questo, l’insegnante deve abituare gli studenti al dubbio, alla complessità e alla riflessione critica, favorendo un atteggiamento aperto e dialogico nei confronti del sapere. (16)

Infine, Morin sottolinea il valore dell’autenticità del maestro. Scrive che il vero educatore non è solo colui che insegna delle discipline, ma chi condivide il proprio modo di vivere, il proprio spirito critico, il proprio impegno. Il maestro è, in questo senso, una figura esemplare, che insegna anche con il proprio esempio di vita. (17)

In conclusione la figura del maestro ha subito una profonda trasformazione: da trasmettitore di conoscenze (modello autoritario e nozionistico), a guida, facilitatore, mediatore dell’apprendimento (modello dialogico, partecipativo e centrato sul discente), trasformazione che i componenti della Commissione ministeriale non sembra abbiano recepito in modo esaustivo.

La pedagogia moderna e contemporanea valorizza sempre più il ruolo del maestro come educatore attivo, consapevole, empatico, e critico, capace di accompagnare l’alunno nella costruzione del sapere e della propria identità.

 

3.I Maestri di oggi

Le considerazioni finora espresse trovano un’ulteriore conferma negli scritti e nelle riflessioni di due grandi Maestri del nostro tempo: Mario Lodi e Alberto Manzi.

Del primo vorrei menzionare un episodio particolarmente significativo che il pedagogista cremonese ricorda nel suo libro “Il paese sbagliato” che costituisce un po’ il diario delle sue prime attività. Prima che iniziasse la scuola egli si recò nell’edificio scolastico, nell’aula che gli era stata assegnata, per una prima ricognizione. Rimase particolarmente colpito dal fatto che era un luogo angusto, scarsamente illuminato da una piccola finestrella. L’aula era fornita di una cattedra situata sopra una predella, come una volta si usava per consentire al docente di avere una visione sopraelevata rispetto agli alunni. La prima iniziativa di Mario Lodi, che rappresenta una significativa metafora del suo futuro modo d’intendere il ruolo dell’insegnante, fu quella di spostare la cattedra verso uno dei muri per poter essere utilizzata come ripiano per i libri e gli elaborati dei bambini, mentre la predella la sistemò nel corridoio, per dare spazio agli alunni.   (18) In un recente Video-conferenza Italo Fiorin, commentando l’episodio descritto, afferma: “Da magister si è fatto minus, che costituisce la radice di minister che indica la persona che è al servizio degli altri”. In altri suoi testi Mario Lodi scrive: “Occorre credere nel bambino come persona e soggetto culturale, e come cittadino alla pari, la cui esperienza ha, al suo livello psicologico, la stessa dignità dell’adulto scrittore, artista, scienziato e filosofo… occorre superare la tentazione di sovrapporsi al bambino invece di stimolarlo a esprimere le sue idee, a confrontarle con quelle degli altri, a sostenerle se reggono alla verifica dei fatti”. (19)

L’altro grande Maestro dei nostri tempi è Alberto Manzi, il docente che ha avuto il compito, a cavallo degli anni ’60, attraverso il mezzo televisivo che lui utilizzò con grande intuito pedagogico e didattico, di alfabetizzare gli Italiani.

La sua attività di maestro si basava sul metodo “maieutico”, nel senso che non dava mai soluzioni a quesiti o a fenomeni scientifici che presentava agli alunni ma, attraverso il dialogo e il confronto con gli allievi, li faceva pervenire a formulare delle ipotesi che poi venivano messe alla prova, seguendo il più efficace metodo scientifico. La stessa metodologia la utilizzava anche per le altre discipline, come la Storia.  Era convinto che questa disciplina, come la si insegnava a scuola, non avesse nessun senso per i bambini. Racconta che in quinta elementare portò i suoi allievi a Dachau perché, diceva, “quella è l’unica lezione di storia che io gli faccio. Io non parlo a Dachau. Li porto. Loro guardano. Nessuno fiatava. C’erano i lacrimoni che gli scendevano giù e quando si usciva fuori dal cancello, ci si metteva in cerchio un momento e mi facevano: perché ci hai portato qui, maestro? Perché questa è la storia. Ricordatevelo. Io non vi devo dire niente. Andiamo avanti”.  (20) Queste considerazioni, per superare i limiti dell’argomento trattato, dovrebbero, in qualche modo, essere presenti nelle affermazioni fatte nelle Indicazioni per quanto riguarda il Curricolo di Storia che, secondo gli estensori del Nuovo Documento, dovrebbe basarsi su “fattarielli” letti dall’insegnante con enfasi e partecipazione.

Il maestro Manzi esprimeva le sue perplessità anche nell’ambito dei Documenti programmatici: “Spesso si confonde il programma con quella che deve essere la crescita intellettiva del ragazzo stesso. Ossia ci si dimentica che il ragazzo deve saper sviluppare, saper pensare col proprio cervello e avere sempre desto il proprio senso critico.” E continua, lui che aveva utilizzato il mezzo televisivo con grande sagacia pedagogica: “Se vogliamo dare solo delle nozioni, meglio di un maestro ci sono film, c’è la televisione stessa, ci stanno oggi libri, immagini e testi fatti meglio di un maestro. Imparare a pensare forse è la cosa più importante che possiamo fare a scuola, non tanto di dare dei pensieri fatti, quanto quello di dare il modo e la capacità di ragionare sulle cose, di riflettere, di discutere sulle cose. Imparare a pensare tutti, non soltanto il bambino, non soltanto il ragazzo della scuola media, ma l’insegnante stesso…” (21)

 

4. Conclusioni

Questa rapida carrellata relativa a pareri elaborati da Organi istituzionali dello Stato (come il CSPI) o da importanti Associazioni professionali (come l’Andis), insieme al pensiero di filosofi, pedagogisti e educatori che si sono succeduti nelle diverse epoche costituiscono una valida garanzia ad un modo d’intendere la “figura” del maestro che non si concentri nel compito di “Magister”, dispensatore di conoscenze, che, forse, era valido cinquant’anni fa ma nell’epoca odierna, caratterizzata dalla complessità del contesto socio-culturale, dal continuo modificarsi di concetti e di argomenti causati dall’incalzare delle scoperte scientifiche, dalla fuga in avanti delle tecnologie informatiche (di cui sono particolarmente esperte le nuove generazioni!), è una posizione alquanto anacronistica. La figura del docente dev’essere connotata da una capacità di mediazione tra saperi disciplinari ed alunni ma deve essere inserita in una cornice valoriale in cui l’empatia, la solidarietà, la comprensione, l’apertura al dialogo rappresentano una garanzia per l’efficacia dei processi di apprendimento.

Un’ultima considerazione che può apparire come un’esortazione agli Organi istituzionali. L’autorevolezza degli insegnanti non nasce da un diktat normativo ma da una serie di provvedimenti come un adeguato salario per il mestiere più difficile del mondo, un’attenzione al disagio professionale sempre più diffuso, una diligenza ad evitare cambi di paradigma improvvisi (vedi il passaggio dai giudizi descrittivi a quelli sintetici operato in corso d’anno in seguito all’applicazione dell’O.M. n.3 del 9 gennaio 2025 sulla valutazione nella Scuola Primaria), un interesse a realizzare validi corsi di formazione per consolidare il bagaglio professionale dei docenti. Occorre, infine, incoraggiare un atteggiamento generale della Società che tenga in maggior conto i valori dell’etica e della cultura rispetto ad una visione fortemente mercantilistica ed economicistica che esalta l’”avere” piuttosto che l’” essere”.

In conclusione, il ruolo del docente si conferma fondamentale per il futuro delle giovani generazioni. Non è solo trasmettitore di conoscenze, ma guida, esempio e promotore di pensiero critico. Attraverso l’ascolto, il dialogo e la passione educativa, l’insegnante contribuisce a formare cittadini consapevoli, responsabili e pronti ad affrontare le sfide di un mondo in continuo cambiamento. Investire nella figura del docente significa investire nel futuro della società stessa.


1) Bozza Nuove Indicazioni per il Curricolo, MIM, 2025

 2) Parere del CSPI sulle “Nuove Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo d’istruzione., 27 giugno 2025”

3) Documento ANDIS sulle “Nuove Indicazioni”, marzo 2025

4) Documento ANDIS sulle “Nuove Indicazioni”, marzo 2025

5) ibidem

 6) ibidem

 7) Platone, Apologia di Socrate, Teeteto, Menone – Dialoghi in cui emerge il metodo maieutico.: Reale, G. Socrate. Milano: Bompiani, 1997

8) Agostino, De Magistro – Dialogo sull’insegnamento e la verità interiore.; Marrou, H.-I.). Sant’Agostino e l’educazione antica., Firenze: La Nuova Italia, 1971

9) Michel de Montaigne, Saggi, Milano, Bompiani, 2014

10) Comenio, La Didattica Magna, Sandron 2011

 11) J. Dewey, Conoscenza e transazione – Firenze, La Nuova Italia 1999

 12) S. Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli, 2009

 13) P. Freire, Pedagogia degli oppressi, Gruppo Abele, 2002

 14) ibidem

 15) E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1999

 16) E. Morin, I Sette saperi necessari all’Educazione del futuro, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001

17) E. Morin, Insegnare a vivere Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015

 18) M. Lodi, Il paese sbagliato, Milano, Einaudi, 2022

19)  M. Lodi, Da «A&B», Anno V, n. 2, aprile-giugno 1988

 20) A. Manzi in “TV buona maestra. La lezione di Alberto Manzi.” – di Roberto Farne e Luigi Zanolio – 1998

21) Alberto Manzi da “Scuola Buona maestra – l’eredità di Alberto Manzi” dvd a cura del LADISC Facoltà di Scienze della Comunicazione – Università La Sapienza – Roma – 2007

 


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Posted 9 Luglio 2025 by admin in category articoli