Agosto 2

Il Dirigente “gentile” (Le competenze socio-relazionali per avviare l’implementazione di una Comunità scolastica empatica)

selfcompassionIl Dirigente “gentile”
(Le competenze socio-relazionali per avviare l’implementazione di una Comunità scolastica empatica)
di Mario Di Maio

“Tenerezza e gentilezza non sono sintomo di disperazione e debolezza, ma espressione diforza e di determinazione”(K.Gibran)

Premessa.

Gli ultimi episodi riportati dalle cronache giornalistiche sulle difficoltà incontrate dalle scuole nei rapporti con i genitori, sui conflitti sempre più aspri nell’ambito dell’organizzazione scolastica tra il dirigente e i docenti e tra questi tra di loro, (vedi le recenti polemiche sull’attribuzione di buoni voti di condotta decisi dai Consigli di classe ad alunni che hanno mostrato dei pessimi comportamenti nei riguardi dei loro professori), hanno evidenziato delle rilevanti situazioni di disagio nell’ambito della Comunità scolastica.
La situazione esistenziale del dirigente scolastico è ancora più aggravata dai continui e fastidiosi adempimenti burocratici, come ad esempio l’attuazione del PNRR, quelli che riguardano i vari PON, con l’immancabile deroga ventiquattr’ore prima della scadenza, la promulgazione del Codice dei dipendenti pubblici con le precedenti norme non riportate ma con un accenno alle disposizioni di legge antecedenti, ecc…
Un altro argomento da esaminare, che rende la gestione della scuola ancora più complicata, è quello che, in generale, l’Istituzione scolastica è un “sistema a legami deboli”, in cui, come in tutte le organizzazioni, i risultati derivano da un’interazione tra i diversi soggetti ma, nel caso della Scuola, essi non possono essere garantiti in quanto le azioni dei componenti del sistema sono spesso imprevedibili, al contrario di quelle strutture in cui i legami sono rigidi.(1)
La dirigenza “gentile” rappresenta una modalità di approccio comunicativo relazionale che può rispondere alla prima problematica che è stata esposta e costituisce un valido approccio alla risoluzione dei nodi problematici relativi alla complessità del sistema scolastico. Essa comprende una serie di competenze che, per certi aspetti, possono anche attenuare il disagio lavorativo che prova il Dirigente scolastico di fronte alla burocrazia sempre più “assillante” degli Organi ministeriali, sia di quelli centrali, sia di quelli periferici.
Se qualche Collega è arrivato a leggere fin qua, probabilmente, incuriosito dalla definizione di “Dirigente gentile”, prospetterà la presenza di situazioni che mandano “a monte” qualsiasi possibilità di attuare una comunicazione positiva. “ Come si può essere gentili con un insegnante che contesta ogni decisione del dirigente” oppure “ Come si può essere gentili con un assistente amministrativo che non è in grado di svolgere correttamente il proprio lavoro, creando situazioni di disfunzioni amministrative o rischi di tipo economico-gestionale” o ancora “ Come si può essere gentili con un genitore che minaccia di denunciare la Scuola per problematiche inconsistenti o di ricorrere al TAR su decisioni assunte dal Consiglio di classe”?
Quello del Dirigente “gentile” è soltanto un atteggiamento utopistico, del tutto irrealistico nella situazione scolastica odierna? In una delle sue prediche Francesco d’Assisi diceva: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”.

  1. Perché la “gentilezza” nella scuola

La gentilezza è la “qualità propria di chi è gentile, nei varî significati dell’aggettivo e in senso morale ma essa indica anche amabilità, garbo, cortesia nel trattare con altri”(2) . Sembrerebbe quasi scontato affermare che essa dev’essere presente negli atteggiamenti, nelle modalità comunicazionali e relazionali del dirigente scolastico e degli altri operatori ma non sempre è così.
Le problematiche della vita di oggi, le preoccupazioni che spesso incombono sull’ esistenza di tutte le persone, frequentemente fanno dimenticare che, nei rapporti con gli altri, nello svolgimento delle mansioni proprie di ogni ruolo lavorativo, l’elemento fondamentale di cui occorre tener conto è che si a che fare con persone, per cui è essenziale passare dal distacco all’empatia, dal freddo rapporto burocratico alla comprensione delle problematiche presentate, dall’atteggiamento di monadi solipsistiche concentrate sul proprio “io” a quello della rilevanza del “noi”. La trasformazione di un rapporto superficiale in quello prettamente empatico, di condivisione e di collaborazione, tipica di operatori che esercitano la propria assertività e della stessa organizzazione scolastica, consentono a tutta l’Istituzione di trasformarsi in una vera e propria “comunità educante” attenta a quelli che sono i bisogni e le esigenze di tutti i “portatori d’interesse”.
L’attenzione alle persone può produrre degli effetti non previsti, come accadde in una famosa sperimentazione avvenuta circa 100 anni fa, nel 1924, negli Stati Uniti d’America, in cui fu coniata la famosa espressione di effetto Hawthorne, dal nome della cittadina, presso Chicago, dove fu realizzata. In sintesi si sperimentò se, in uno stabilimento industriale, il rendimento delle operaie aumentava se i capannoni venivano illuminati meglio. Così accadde ma la cosa strana fu che tale fenomeno avvenne anche in altri opifici dove l’illuminazione era sempre la stessa. Le operaie di questi ultimi erano state, comunque, informate dell’esperimento e, quindi, si sentivano al centro dell’interesse degli sperimentatori, per cui la conclusione fu che l’aumento del rendimento operaio dipendeva da una maggiore attenzione alle attività dei lavoratori.(3)

La “gentilezza” nella Scuola consente anche di limitare quel fenomeno che, negli ultimi anni, ha provocato un certo senso di disagio o, addirittura, quelle situazioni di distress che possono portare al burnout, cioè la competizione tra i docenti. “La competizione non si attua soltanto nell’ambito economico, caratteristica distintiva dei mercati, ma in tutti i settori della società contemporanea, consolidando un determinato comportamento che mira a metterci, continuamente, in competizione con gli altri. Sembra che sia diventato essenziale dimostrare a se stessi e, in particolare agli altri, di essere migliori, con la convinzione “Io sono meglio di te”, tale convinzione provoca tutta una seriedi comportamenti lesivi sia verso gli altri che verso se stessi”(4).
Questa riflessione provoca immediatamente un’altra sul perché sulla leadership “gentile” si è aperto un rilevante dibattito soprattutto nell’ambito del mondo delle aziende private ed è del tutto assente nel discorso sulla Dirigenza scolastica.
In una recente indagine di Info.Jobs, la Digital Company n. 1 in Italia per la ricerca di lavoro online, ripresa e pubblicata da numerose testate di rilevanza nazionale come “Il Corriere della sera “e “La Stampa”, intervistando dirigenti e operatori di aziende private, è stato evidenziato che “la leadership “gentile” può fare la differenza per il 93% degli intervistati perché contribuisce a creare un clima di lavoro più sereno e di conseguenza permette di ottenere il massimo dalle persone che si sentono più responsabilizzate”(5). Essere gentili non vuol dire essere deboli anzi, nelle risposte degli intervistati viene sottolineata che questo atteggiamento è proprio delle persone forti e sicure di se stesse. L’indagine rileva che per il 96% questa modalità relazionale è alla base della produttività. La gentilezza è un punto di forza (60%) e non di debolezza e un elemento imprescindibile al lavoro (24%); soltanto il 2% la considera una debolezza o una tattica volta ad ottenere qualcosa (9%). Sempre nell’indagine vengono evidenziati gli ostacoli che frenano questo atteggiamento: per il 43% il maggiore impedimento è rappresentato dalle situazioni di stress e dai ritmi sempre più incalzanti delle diverse attività lavorative. Segue la competizione tra i lavoratori che viene indicata dal 27% degli intervistati e la ripetitività delle attività per il 2%.(6) Le percentuali cambiano, però, quando si passa a delle domande che riguardano la realtà del proprio mondo lavorativo della realtà che ogni giorno i lavoratori sperimentano nella propria esperienza. “Il 41% dichiara di avere un leader assertivo, per il quale fare squadra e gentilezza sono elementi chiave per ottenere risultati, mentre per il 41,5% il proprio capo non considera la gentilezza un elemento importante e addirittura il 17,5% ha un superiore che premia un clima rigoroso, credendolo più funzionale”(7).
I risultati dell’indagine chiariscono l’importanza di avere a capo dell’organizzazione un leader “gentile” e per quanto riguarda la Scuola?
Nell’ambito dell’istituzione scolastica il Dirigente” gentile” dovrebbe presentarsi come guida empatica e disponibile prima per i docenti e gli altri operatori scolastici, dopo per studenti e famiglie. Dovrebbe porsi come un modello per quanto riguarda le competenze comunicativo-relazionali per i propri insegnanti e, quindi, attraverso questi che dovrebbero, a loro volta,sviluppare competenze empatiche, agli allievi. Tale atteggiamento può essere, inoltre, rivolto direttamente, attraverso un atteggiamento di dialogo e comprensione, agli studenti. In quest’azione empatica, dovrebbe saper ascoltare attentamente le preoccupazioni degli alunni e sforzarsi di comprendere le loro esigenze individuali. Questa comprensione consentirebbe al dirigente di consigliare ai docenti l’adozione di approcci educativi mirati, incentrati sulla valorizzazione dei punti di forza di ciascuno studente e sul supporto per superare le sfide che possono incontrare nel loro percorso di apprendimento.
Un atteggiamento empatico, ha come primo requisito il rapporto positivo con gli insegnanti e gli altri operatori scolastici. Un Dirigente” gentile” riconosce e apprezza il lavoro svolto da ciascun membro del team educativo. Favorisce un clima di collaborazione, apertura e rispetto reciproco, consentendo al personale di sentirsi motivato ed entusiasta nel contribuire al successo degli studenti e all’efficacia dell’azione dell’organizzazione scolastica.
In una Scuola “gentile” di fronte a problematiche di una certa complessità, per la loro risoluzione, si predilige il dialogo e l’ascolto attivo, promuovendo un ambiente di lavoro sereno e coeso.
E’ essenziale, in una scuola del genere, che il dirigente abbia la capacità di assumere decisioni ponderate e giuste, riesca a bilanciare il rispetto delle regole con una comprensione empatica delle situazioni individuali, pur non temendo di prendere decisioni difficili ma facendolo sempre con rispetto, trasparenza e comprensione.
Se l’Istituzione scolastica riesce a manifestare in modo concreto, prima nel suo interno e poi nell’ambito del contesto socio-culturale nel quale essa agisce, un atteggiamento di apertura, di dialogo e di comprensione, essa potrebbe porsi come un “faro” che illumina la “comunità educante”. Dovrebbe essere disponibile a intervenire attivamente nella vita del contesto socio-culturale, anzi ne dovrebbe costituire uno dei fattori trainanti, come, d’altronde, avviene in numerose realtà dei nostri territori.

3.Le competenze del Dirigente “gentile”

Le competenze che dovrebbe acquisire e consolidare il dirigente per esprimere quella che viene definita “leadership gentile” sono state sottoposte a importanti ricerche ed indagini nell’ambito delle aziende private e, comunque, possono costituire un importante riferimento anche nell’ambito scolastico.
Una prima considerazione è che la leadership non si esercita attraverso l’imposizione di regole ferree. E’ chiaro che, nell’ambito scolastico, regolamenti e normative sono l’essenza di ogni organizzazione efficace, me esse, quando è possibile, devono essere spiegate e motivate, un po’ come si fa con gli studenti per far loro accettare determinate norme. E’ deleterio, poi, ricorrere a minacce o sanzioni, in quanto questo tipo di atteggiamento provoca situazioni conflittuali in cui il dirigente non sempre è in grado di prevederne gli esiti. Sebbene essi abbiano il potere, non tutti hanno la leadership. L’autorevolezza di un leader non può essere conquistata con l’imposizione, ma con il confronto e il dialogo, in modo che il docente o l’operatore scolastico lo accettino.
La problematica, ancora una volta, è al centro del dibattito effettuato a livello della leadership delle aziende ma può essere facilmente adattato a quello della Dirigenza scolastica, anzi si attaglia in misura maggiore alla figura della leadership educativa propria del dirigente scolastico. Sul tema, è un’indagine di Great Place to Work condotta da Espresso Communication a indagare sulle competenze essenziali per coloro che hanno compiti di tipo direttivo. “Essere leader significa essere una fonte d’ispirazione e, soprattutto, un grande ascoltatore. Colui che motiva i propri collaboratori, invitandoli a dare il meglio: il dirigente si dimostra un vero e proprio coach, un punto di riferimento per tutti coloro che fanno parte del luogo di lavoro”.(8)
Venti professori universitari sono stati interpellati per individuare quali sono le competenze del buon leader. Tra le altre considerazioni Marco Lombardi, professore di Sociologia presso l’Università Cattolica di Milano, ha spiegato: “La qualità del leader si misurerà con la sua capacità di mantenere relazioni efficaci.
Le competenze relazionali, a differenza di quelle tecniche, si coltivano nel tempo all’interno di ecosistemi più o meno favorevoli. Possiamo facilmente ripetere alcune parole chiave quali ascolto, disponibilità, empatia e impegno”9.
La prima competenza da sviluppare è quella della comunicazione efficace.
Sebbene alcuni dirigenti siano dei comunicatori “naturali”, altri non lo sono, in quanto, come per la maggior parte delle abilità, anche per quelle relative alla comunicazione è necessario aver avuto l’opportunità di fare esperienze di apprendimento. Un livello scadente di comunicazione non è solo un problema personale, ma ha delle ripercussioni negative sulla conduzione della propria leadership e sul clima che si viene a creare nella scuola” (10) .
La psicologia umanistica individua degli elementi fondamentali per realizzare una comunicazione che consenta di sviluppare un rapporto positivo con gli altri e per gestire e risolvere i conflitti che avvengono nell’ambito dell’ambiente lavorativo. Questi comprendono delle vere e proprie abilità che sono: comunicare i propri sentimenti, esercitare un ascolto passivo e attivo, dimostrare empatia nei riguardi degli altri, interagire in modo assertivo. Un altro aspetto importante della comunicazione efficace è anche quello di saper cogliere, attraverso lo studio della prossemica, le comunicazioni non verbali, ma gestuali dell’interlocutore.
Un altro punto da prendere in considerazione è che il dirigente deve tener conto del fatto che, nel momento in cui intreccia una modalità relazionale con i propri interlocutori, può mettere, inconsapevolmente in campo quelle che vengono chiamate “le barriere della comunicazione”, degli atteggiamenti di risposta al tentativo di comunicazione degli altri che non la facilitano, anzi costituiscono una soluzione inefficace o, addirittura, possono provocare delle risposte conflittuali, vale a dire rappresentano, appunto, un muro, un ostacolo alla comunicazione.(11)Tra queste troviamo le risposte di ordinare, di avvisare, minacciare, di rimproverare, di fare del sarcasmo che, già ad un primo esame rischiano di innescare un circolo vizioso di contro-risposte che tendono ad allontanare da un’efficace dialettica comunicazionale
Per capire in modo completo il significato delle barriere della comunicazione bisogna ricordare che le modalità di risposta trasmettono più di un significato o messaggio, talvolta colpiscono, più che le azioni dell’interlocutore, il suo modo di essere.
Le modalità di relazione che il Dirigente “gentile” dovrebbe mettere in atto si basano sull’accettazione dell’altro, sulla possibilità di mettersi in sintonia con lui e di dargli tutta la collaborazione necessaria. L’accettazione costituisce il terreno, l’humus nel quale il seme del sé può trovare le condizioni ottimali per la crescita della propria personalità.
La strategie della “comunicazione efficace” si basano su quattro momenti fondamentali:

➢ l’ascolto passivo;

➢ i cenni d’attenzione;

➢ le espressioni facilitanti;

➢ l’ascolto attivo.

L’ascolto passivo (silenzio) è un atteggiamento che permette all’altro, in questo caso l’interlocutore, di parlare senza essere interrotto. Spesso si sottolinea che un aspetto della comunicazione (o meglio dell’incomunicabilità) che caratterizza i tempi moderni è quello di non ascoltare gli altri, di sovrastare le opinioni degli altri con le proprie. Il silenzio è una modalità che permette di essere accettati ed incoraggiati.
Esso deve, però, essere accompagnato dai cenni d’attenzione, altrimenti il silenzio potrebbe essere interpretato come un segnale di scarsa attenzione.
Essi si possono dividere in due tipi di comportamenti che comprendono quelli non verbali, come atteggiare il corpo ad una postura di avvicinamento rispetto alla persona che sta parlando, guardarlo negli occhi, fare dei cenni d’incoraggiamento per farlo continuare nella sua comunicazione. L’altro tipo di comportamento è quello di tipo verbale con interiezioni che facciano capire che si è attenti a quello che si sta dicendo o con frasi del tipo: -Capisco-, – Ti sto ascoltando-.
Le espressioni facilitanti sono delle frasi che possono indurre a realizzare la comunicazione, soprattutto all’inizio, quando c’è più difficoltà ad esprimere il proprio pensiero. Esse devono, comunque, essere sempre prive di qualsiasi modalità di valutazione, devono far comprendere che si è interessati alla comunicazione che l’interlocutore vuole attuare.
Queste tre prime modalità sono importanti, ma non fanno comprendere se si sta sviluppando quell’atteggiamento di accettazione della relazione dell’altro.
L’ultima modalità, quella dell’ascolto attivo, permette di capire se, oltre all’ascolto, il dirigente cerca anche di comprendere, cioè di realizzare quel rapporto empatico che è alla base della comunicazione efficace. Attraverso l’utilizzazione di domande basate sul messaggio che il dirigente sta tentando di comunicare, l’insegnante cerca di mettere a fuoco quali sono i suoi bisogni.
L’ascolto attivo crea una buona relazione tra gli operatori scolastici e il dirigente. Questi potrà contare sulla disponibilità dei suoi collaboratori ad ascoltarlo, ad ascoltare le sue idee, le sue opinioni, le conoscenze che vuole comunicare.
La comunicazione efficace è valida anche quando il dirigente deve manifestare la propria contrarietà a dei comportamenti negativi degliinsegnanti e degli altri operatori scolastici, sottolineando l’incongruità delle loro azioni, piuttosto che rivolgendo il rimprovero a tutta la persona.
Un altro importante atteggiamento è quello di esprimere, in una determinata situazione comunicativa, il proprio stato d’animo.
L’espressione dei sentimenti positivi permette un arricchimento della relazione, il problema nasce quando lo stato d’animo provato ha dei connotati di negatività. A dei collaboratori scolastici che non rispettano le regole il dirigente potrà comunicare di essere molto dispiaciuto del loro comportamento. Questa modalità di comunicazione potrà non risolvere nell’immediato il problema ma permetterà al dirigente di operare una specie di liberazione dal sentimento. Quest’atteggiamento, inoltre, permette all’altro di conoscere lo stato d’animo dell’interlocutore diventandone, così, consapevole e reagendo di conseguenza. Spesso i fraintendimenti di tipo relazionale nascono dal fatto che, poiché i sentimenti non vengono espressi, gli stati d’animo delle persone non sono conosciuti. Questa informazione tende a dare maggiore qualità alla relazione.
Un’altra competenza fondamentale del leader è la capacità di governare le situazioni conflittuali. Nel conflitto ognuna delle parti si trova in contrasto con l’altra, in quanto il soddisfacimento dei bisogni di uno corrisponde alla negazione dei esigenze dell’altro. Le strategie di risoluzione, prendendo in considerazione il rapporto diadico, sono principalmente di quattro tipi: vincere-perdere (o il contrario); perdere-perdere; vincere-vincere. I primi tre atteggiamenti si basano sui sentimenti, il quarto si fonda sul pensiero e sulla fiducia verso l’altro.(12)
La quarta modalità, quella che è stata definita vincere-vincere, costituisce una strada alla risoluzione del conflitto. In essa l’accento viene messo sul problema che coinvolge i diversi contendenti, spersonalizzando la situazione conflittuale, e, soprattutto, ponendo sia l’uno sia l’altro su di un piano di tipo cooperativo che tende a diminuire il livello emotivo impegnato.
In modo concreto si pone l’accento sulla possibilità di utilizzare un processo graduale per la risoluzione dei problemi legati a situazioni conflittuali. J. Dewey lo propone per la soluzione dei problemi esistenzialidell’individuo; esso, però, può essere utilizzato anche nel caso di scontri e contrasti tra persone e gruppi. Il dirigente “gentile” dovrà, inoltre, individuare se il conflitto deriva da motivi di tipo valoriale, difficilmente risolvibili, o di altro tipo, sui quali si può intervenire con maggiore facilità.
Le altre competenze individuate sono aspetti particolari della comunicazione efficace come il discorso motivazionale che implica un’importante capacità del dirigente a coinvolgere i suoi collaboratori nell’implementazione di progetti ed attività finalizzate al miglioramento dell’attività scolastica e al raggiungimento degli obiettivi istituzionali, ispirando positività ma soprattutto fiducia.
L’attitudine a cogliere gli aspetti costruttivi dei feedback comunicativi dei collaboratori è un’altra delle competenze necessarie al leader” gentile”, perchél’accettazione dei giudizi altrui sono di fondamentale importanza per l’autostima delle persone del team. Infine è importante che il dirigente favorisca la crescita di un middle management dei suoi collaboratori, in quanto tra i compiti del buon leader c’è anche quello di far sentire importanti i propri collaboratori, rendendoli un punto di riferimento per le diverse attività che si svolgono nell’ambito dell’istituzione scolastica. Un’ultima competenza è quella della flessibilità, in quanto deve sapere adattarsi alle diverse situazioni lavorative e trovare soluzioni ad eventuali problemi di percorso.(13)

4.” Gentile” con se stesso

Non si può completare questa breve disamina del Dirigente “gentile” con una considerazione che può sembrare banale, ma non lo è: essere “gentili” con gli altri non implica che la persona lo sia con se stessa, per cui è opportuno individuare alcuni aspetti che consentano di essere “gentili” anche con la propria persona.
Numerosi sono gli studi effettuati su quella che gli anglosassoni chiamano self compassion e sugli atteggiamenti/azioni che bisogna, in qualche modo, implementare per un miglioramento della propria esistenza. Si parla di auto gentilezza quando si smette di emanare giudizi rigidi sul proprio operato, di esercitare con se stessi atteggiamenti di empatia, comprensione e pazienza.
Occorre far emergere l’Umanità che è propria di ogni persona e, quindi, considerare che l’esistenza umana è vulnerabile e imperfetta, incline all’errore.
Un ultimo aspetto è quello di imparare ad acquisire un atteggiamento di consapevolezza mentale che si riferisce alla mindfulness che” si riferisce a quel momento di presenza mentale in cui tutto ciò che accade dentro e fuori di sé viene visto come è realmente, senza dolore, paura o sofferenza”. (14) “L’auto compassione richiede anche un approccio più equilibrato nella gestione delle proprie emozioni negative, in modo che queste sensazioni non siano né soppresse né esagerate. Questo atteggiamento equilibrato consiste nel guardare la propria situazione da un punto di vista più ampio(15) .
Bisogna aver cura di se stessi, oltre che degli altri. Per fare ciò occorre che il dirigente conosca bene i suoi limiti, le proprie reazioni personali e i motivi che le suscitano. Individuare i punti di forza del proprio comportamento è importante quanto riconoscere le proprie debolezze.
In conclusione il Dirigente “gentile” rispetta l’Umanità che è in lui e negli altri, in modo particolare nei suoi docenti e nei suoi studenti, diventando un modello coerente di competenze esistenziali indispensabili per i percorsi di vita che i discenti si troveranno ad affrontare.


1 P.Romei, Guarire dal “mal di scuola”, La Nuova Italia Editrice, 1999, Firenze
2 www.treccani.it/vocabolario
3 G.Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli, 1995
4 C. Mazzamuto, LA LEADERSHIP GENTILE: Le nuove skills del Leader del III millennio
5 www.infojobs.it, 2020
6 ibidem
7
ibidem
8 A. Zollo È l’epoca del leader gentile, https://forbes.it/2021/08/09. (forbes.it)
9 M.Lombardi, ibidem
10M. Di Pietro, L. Rampazzo, Lo stress dell’insegnante, Trento, Erickson, 1997
11 T. Gordon, Insegnanti efficaci, Firenze, Giunti Editore, 2013
12T.H.Harris, Io sono OK, tu sei OK, Milano, BUR, 1995
13Comunicazione efficace: un’abilità chiave per una leadership di successo The European business Rewiew, 23marzo 2023
14 https://www.treccani.it/
15 K. Neff, La self-compassion. Il potere dell’essere gentili con se stessi, Milano, FrancoAngeli, 2019

 

 

 


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Posted 2 Agosto 2023 by admin in category articoli